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IRPEF – Oneri deducibili e spese detraibili – Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici – Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio sostenute dal convivente more uxorio – Applicabilità della detrazione ex art. 16-bis del TUIR – Condizioni.
Ris. 28 luglio 2016, n. 64/E, dell’Agenzia delle entrate
“Esposizione del quesito – L’istante fa presente che ha eseguito, nel 2015, assieme alla propria
convivente, lavori di ristrutturazione nell’appartamento in cui la coppia vive,
condividendo le relative spese; precisa, inoltre, che dal 2011 ha trasferito la
propria residenza in tale immobile, di proprietà della convivente che vi risiedeva
già prima dell’inizio della convivenza.
L’istante chiede se in qualità di convivente possa beneficare della
detrazione per le suddette spese di ristrutturazione.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente. L’istante, sulla scorta della sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, secondo cui la condizione del convivente “more uxorio” è equiparata a quella del coniuge convivente, indipendentemente dall’esistenza di un contratto
di comodato (sentenza 5 novembre 2008, n. 26543), ritiene di potersi comportare
come un coniuge convivente.
Parere dell’Agenzia delle entrate. La detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, resa permanente con l’introduzione, ad opera del decreto-legge n. 201 del 2011,
dell’art. 16-bis nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), ha il medesimo
ambito di applicazione della originaria detrazione prevista dalla legge n. 449 del
1997. Trovano quindi applicazione le relative norme di attuazione recate dal
regolamento adottato con il decreto del Ministro delle finanze 18 febbraio 1998,
n. 41 nonché le condizioni di spettanza del beneficio fiscale chiarite attraverso il
consolidato orientamento di prassi formatosi in materia.
Ai sensi del comma 1 del citato art. 16-bis, la detrazione spetta per le
spese sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che
possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono
effettuati gli interventi in questione. In ordine all’ambito soggettivo di
applicazione del beneficio, con la circolare n. 57 del 19981, è stato chiarito che –
tenuto conto che la disposizione che ha introdotto la detrazione dall’Irpef a favore
dei contribuenti che sostengono spese per la realizzazione degli interventi ivi
previsti non pone ulteriori condizioni né soggettive né oggettive – il diritto alla
detrazione spetta (se hanno sostenuto le spese in questione e queste sono rimaste
a loro carico) al proprietario o al nudo proprietario dell’immobile, al titolare di un
diritto reale sullo stesso (uso, usufrutto, abitazione), nonché all’inquilino e al
comodatario in quanto detentori dell’immobile.
Nella successiva circolare n. 121 del 19982 è stato chiarito che la
detrazione compete anche al familiare del possessore o detentore dell’immobile
sul quale vengono effettuati i lavori, purché sia convivente e sostenga le spese. E’
stato in proposito precisato che:
– per “familiari”, s’intendono, a norma dell’articolo 5, comma 5, del TUIR,
il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado;
– il titolo che attesta la disponibilità dell’immobile – requisito richiesto per
fruire della detrazione- è costituito dalla condizione di familiare convivente e,
pertanto, non è richiesta l’esistenza di un sottostante contratto di comodato;
– la convivenza deve sussistere fin dal momento in cui iniziano i lavori
(ris. n. 184/E del 20023 e circ. n. 15/E del 20054, par. 7.2).
Sulla base della prassi riportata, dunque, il convivente che non sia
familiare del titolare dell’immobile, nei termini sopra indicati, e che sostenga le
spese per gli interventi in questione potrebbe beneficare della detrazione di cui
all’art. 16-bis del TUIR soltanto se risulta detentore dell’immobile in base ad un
contratto di comodato.
Per effetto della legge 20 maggio 2016, n. 76 – recante la
“Regolamentazione delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso e la
disciplina delle convivenze” il quadro normativo di riferimento risulta, tuttavia,
mutato rendendo opportuno riconsiderare le istruzioni fornite con la precedente
prassi.
La richiamata legge n. 76 del 2016, in particolare, equipara al vincolo
giuridico derivante dal matrimonio quello prodotto dalle unioni civili, stabilendo
che – fatte salve le previsioni del codice civile non richiamate espressamente e
quelle della legge sull’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184) – “le disposizioni
che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”,
“coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi
forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti
collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone
dello stesso sesso.” (comma 20)
Analoga equiparazione non è, invece, disposta per le convivenze di fatto,
costituite, ai sensi dell’art. 1, commi 36 e 37, della citata legge n. 76 del 2016, tra
due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di
reciproca assistenza morale e materiale coabitanti ed aventi dimora abituale nello
stesso comune. Ai fini dell’accertamento della “stabile convivenza” viene
richiamato il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico
(D.P.R. n. 223 del 1989).
La citata legge n. 76 del 2016 estende, però, ai conviventi di fatto alcuni
specifici diritti spettanti ai coniugi (quale, tra gli altri, il diritto di visita, di
assistenza e di accesso alle informazioni personali in ambito sanitario,
analogamente a quanto previsto oggi per i coniugi e i familiari) e riconosce al
convivente superstite il diritto di abitazione, per un periodo determinato, nonché
la successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza in caso
di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto.
Da tali disposizioni si evince che la legge n. 76 del 2016 – pur non avendo
equiparato le convivenze di fatto alle unioni basate sul matrimonio – ha, in ogni
caso, attribuito una specifica rilevanza giuridica a tale formazione sociale e, in
questo contesto, ha evidenziato l’esistenza di un legame concreto tra il convivente
e l’immobile destinato a dimora comune.
Ai fini della detrazione di cui all’art. 16-bis, pertanto, la disponibilità
dell’immobile da parte del convivente risulta insita nella convivenza che si
esplica ai sensi della legge n. 76 del 2016 senza necessità che trovi titolo in un
contratto di comodato.
Il convivente more uxorio che sostenga le spese di recupero del
patrimonio edilizio, nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 16
bis, può, dunque, fruire della detrazione alla stregua di quanto chiarito per i
familiari conviventi. Così, ad esempio, come chiarito nella risoluzione n. 184/E
del 2002, con riferimento ai predetti familiari, il convivente non proprietario
dell’immobile può fruire della detrazione anche per le spese sostenute per
interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di
convivenza anche se diversa dall’abitazione principale della coppia”.
1Circ. 24 febbraio 1998, n. 57/E, in Boll. Trib., 1998, 439.
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2Circ. 11 maggio 1998, n. 121/E, in Boll. Trib., 1998, 851.
3Ris. 12 giugno 2002, n. 184/E, in Boll. Trib. On-line.
4Circ. 20 aprile 2005, n. 15/E, in Boll. Trib., 2005, 614.