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L’ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE DA PARTE DI SOCIETA’ QUOTATE. DISCIPLINA REGOLAMENTARE E PROFILI FISCALI

 

SOMMARIO: 1. L’acquisto di azioni proprie e la normativa sugli abusi di mercato; 1.1 Le condizioni relative alle negoziazioni; 1.2 Le condizioni relative alle informazioni; 1.3 Divieto di trading sulle azioni proprie; 1.4 La disciplina informativa relativa agli acquisti di azioni proprie; 1.5 I “black out periods” – 2. I profili fiscali dell’acquisto e vendita di azioni proprie; 2.1 La natura fiscale delle riserve del patrimonio netto.

 

 

La disciplina posta a presidio dell’acquisto di azioni proprie da parte di società quotate, volta a tutelare l’integrità del capitale sociale, la parità di trattamento tra i soci e l’interesse del mercato alla regolare formazione dei prezzi, è contenuta sia nel codice civile sia nel Testo Unico della finanza (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, di seguito TUF), mentre la disciplina fiscale è rinvenibile nel Testo Unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, di seguito TUIR).

Il presente lavoro si focalizzerà sulla disciplina del TUF, introdotta nel nostro ordinamento da norme comunitarie di vario livello (direttive, regolamenti, ecc.), e dunque sugli aspetti regolamentari dell’acquisto di azioni proprie, nonché sui profili fiscali pertinenti l’acquisto e la vendita di dette azioni che, come noto, discendono dalla contabilizzazione di tali operazioni secondo i principi contabili internazionali.

Per quanto riguarda la disciplina del codice civile, ci si limita a ricordare che ai sensi dell’art. 2357: a) la soglia massima di possesso delle azioni proprie non può eccedere il 20% del capitale sociale (si computano anche le azioni possedute dalle società controllate dall’emittente); b) l’assemblea ordinaria deve dare preventiva autorizzazione definendo anche le modalità dell’acquisto; c) il limite al controvalore dell’acquisto è pari alla somma delle riserve disponibili e degli utili distribuibili.

1. L’acquisto di azioni proprie e la normativa sugli abusi di mercato

La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 6 del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (c.d. “abusi di mercato”), recepita negli artt. da 180 a 187-quaterdecies del TUF, impone l’obbligo agli Stati membri di vietare «alle persone … che dispongono di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni acquisendo o cedendo, o cercando di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono» (cfr. art. 2, paragrafo 1). Il paragrafo 2 del medesimo art. 2 specifica che «Quando le persone di cui al paragrafo 1 sono persone giuridiche, il divieto previsto dallo stesso paragrafo si applica anche alle persone fisiche chepartecipano alla decisione di procedere all’operazione per conto della persona giuridica in questione».

L’acquisto di azioni proprie, quando le azioni sono negoziate in un mercato regolamentato, è dunque un’operazione potenzialmente riconducibile tra quelle che possono dare origine ad “abusi di mercato”, anche da parte dello stesso emittente. Ciò trova conferma nel fatto che il legislatore comunitario, all’art. 8 della menzionata Direttiva n. 6/2003, ha disposto che «I divieti imposti dalla presente direttiva non si applicano né alle negoziazioni di azioni proprie effettuate nell’ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie né alle operazioni di stabilizzazione di uno strumento finanziario, a condizione che tali negoziazioni si svolgano in conformità delle disposizioni» di cui al Regolamento della Commissione europea n. 2273 del 22 dicembre 2003 (c.d. safe harbour) (1).

[-protetto-]

A tale riguardo, l’art. 3 del Regolamento n. 2273/2003 sancisce che «Per poter beneficiare della deroga di cui all’articolo 8 della direttiva 2003/6/CE, un programma di riacquisto di azioni proprie deve essere conforme alle disposizioni degli articoli 4, 5, e 6 del presente regolamento e deve avere come esclusivo obiettivo quello di ridurre il capitale dell’emittente … o di adempiere alle obbligazioni derivanti: da strumenti di debito convertibili … o da programmi di assegnazione di opzioni su azioni o da altri programmi di assegnazione di azioni a favore dei dipendenti dell’emittente o di una società collegata».

Per potere beneficiare del safe harbour gli acquisti di azioni proprie devono essere compiuti esclusivamente per gli scopi indicati nel citato Regolamento e con le modalità da esso stabilite.

L’esclusione dalla disciplina degli abusi di mercato non riguarda, quindi, in prima battuta, gli acquisti di azioni proprie aventi come finalità:

(i) l’impiego di dette azioni come corrispettivo in operazioni straordinarie o in operazioni di share for share,

(ii) oppure, l’adempimento di obbligazioni derivanti dall’assegnazione di opzioni su azioni a favore degli amministratori della società emittente o delle società da quest’ultima controllate.

Tuttavia, anche tali finalità, che spesso motivano nella prassi l’acquisto di azioni proprie, possono ricondursi nel safe harbour se gli acquisti sono conformi alle “prassi di mercato” ammesse sul mercato regolamentato (2). Con delibera n. 16839 del 19 marzo 2009, la Consob ha ammesso come “prassi di mercato” prevista dall’art. 180, comma 1, lett. c), del TUF, l’acquisto di azioni proprie per la costituzione di un c.d. “magazzino” titoli. La prassi ammessa dalla Consob (cfr. paragrafo 2, “Finalità”, della citata delibera Consob n. 16839) consente all’emittente e alle società controllate di acquistare azioni proprie nei mercati regolamentati, di conservarle e disporne per:

a) un loro eventuale impiego «come corrispettivo in operazioni straordinarie, anche di scambio di partecipazioni, con altri soggetti nell’ambito di operazioni di interesse dello stesso Emittente»;

b) «adempiere alle obbligazioni derivanti da programmi di distribuzione, a titolo oneroso o gratuito, di opzioni su Azioni o Azioni ad amministratori, dipendenti e collaboratori del medesimo Emittente ovvero ad amministratori, dipendenti e collaboratori di società dallo stesso controllate, nonché da programmi di assegnazione gratuita di Azioni ai soci».

L’acquisto di azioni proprie dovrà, comunque, rispettare le condizioni operative previste dagli artt. 4, 5 e 6 del Regolamento CE n. 2273/2003, di seguito illustrate (3).

1.1 Le condizioni relative alle informazioni

Ai sensi del paragrafo 9 della citata delibera Consob l’emittente deve «rispettare gli obblighi di informazione previsti dall’art. 4 del regolamento CE n. 2273/2003, includendo nell’apposito comunicato che precede l’inizio delle negoziazioni anche il quantitativo di Azioni da acquistare per ciascuna finalità indicata al paragrafo 2», e quindi l’emittente deve specificare nell’apposito comunicato:

(i) il quantitativo di azioni da destinare ad operazioni di share for share e

(ii) il quantitativo di azioni da utilizzare per i piani di stock option destinati ad amministratori, dipendenti e collaboratori dell’emittente e delle società controllate.

Inoltre, è previsto che qualora l’emittente modifichi i suddetti quantitativi debba darne tempestiva comunicazione al pubblico («Ogni modifica del citato quantitativo deve essere senza indugio comunicata al pubblico») (4).

Tra gli obblighi informativi previsti dall’art. 4 del Regolamento CE n. 2273/2003, richiamato dalla più volte citata delibera Consob, è compreso l’obbligo in capo all’emittente di comunicare al pubblico le operazioni di acquisto di azioni proprie non oltre la settima giornata di borsa successiva alla data di esecuzione delle operazioni stesse.

Tutte le informazioni sono diffuse con le modalità previste per la pubblicazione delle informazioni privilegiate.

1.2 Le condizioni relative alle negoziazioni

Il paragrafo 1 dell’art. 5 del suddetto Regolamento stabilisce che «Per quanto riguarda i prezzi, …, un emittente non acquista azioni ad un prezzo superiore al prezzo più elevato tra il prezzo dell’ultima operazione indipendente e il prezzo dell’offerta indipendente (5) più elevata corrente nelle sedi di negoziazione dove viene effettuato l’acquisto». Pertanto, ipotizzando un prezzo dell’ultima operazione indipendente pari a 1,80 (1° parametro) e assumendo i seguenti prezzi di offerta in acquisto (2° parametro):

prezzi di offerta

(in acquisto)

1,85

1,75

1,72

il prezzo della proposta di acquisto dell’emittente non deve essere superiore al più alto tra il prezzo dell’ultima operazione indipendente ( 1,80) e il prezzo della proposta in acquisto indipendente più elevata ( 1,85) corrente nel mercato in cui la proposta viene inserita. La società non può, quindi, inserire un ordine di acquisto ad un prezzo superiore a 1,85.

Se invece il book presentasse i seguenti valori:

prezzi di offerta

(in acquisto)

1,75

1,72

1,70

l’emittente potrebbe acquistare azioni proprie anche immettendo un ordine a 1,80 (i.e. prezzo dell’ultima operazione indipendente).

Il prezzo dell’ultima operazione indipendente del giorno precedente (giorno x-1) quello in cui l’emittente procede all’acquisto (giorno x) dovrebbe coincidere con il prezzo di chiusura del giorno precedente (giorno x-1); la società emittente dovrebbe quindi poter acquistare azioni proprie anche in fase di asta di apertura (6).

Il paragrafo 2 del medesimo art. 5 specifica che «Per quanto riguarda il volume, l’emittente non acquista un quantitativo superiore al 25% del volume medio giornaliero di azioni negoziato nel mercato regolamentato in cui l’acquisto viene effettuato … il volume medio giornaliero è calcolato sulla base del volume medio giornaliero degli scambi nei 20 giorni di negoziazione precedenti la data dell’acquisto».

Ciò significa che la società conosce già dall’avvio delle negoziazioni il quantitativo massimo di azioni proprie che può comprare in una determinata giornata.

Pertanto, ipotizzando un volume medio giornaliero per i giorni 27 maggio 2015 (media volumi dal 28 aprile al 26 maggio), 28 maggio 2015 (media volumi dal 29 aprile al 27 maggio), 29 maggio 2015 (media volumi dal 30 aprile al 28 maggio) rispettivamente di n. 30.000, n. 40.000 e n. 35.000 azioni, l’emittente non potrà acquistare nei rispettivi giorni quantitativi superiori a quelli indicati nella seguente tabella:

data acquisto

azioni proprie

volume medio

giornaliero

quantitativo massimo di acquisto

27 maggio 2015

30.000

7.500

28 maggio 2015

40.000

10.000

29 maggio 2015

35.000

8.750

Il paragrafo 3 dell’art. 5 del Regolamento n. 2273/2003 ammette la possibilità di eccedere la predetta soglia del 25% stabilendo che «Ai fini dell’applicazione del paragrafo 2, in caso di liquidità estremamente bassa nel mercato regolamentato interessato, l’emittente può superare il predetto limite del 25%, a condizione che:

a) l’emittente informi in anticipo l’autorità competente per il mercato interessato dell’intenzione di non rispettare il limite del 25%;

b) l’emittente informi il pubblico in maniera adeguata del fatto che potrebbe non rispettare il limite del 25%;

c) l’emittente non ecceda il 50% del volume medio giornaliero».

Ove vi fosse una liquidità particolarmente bassa nel mercato di negoziazione, le tre condizioni che permettono il superamento della soglia del 25% devono essere rispettate congiuntamente (non sono, cioè, fra loro alternative).

1.3 Divieto di trading sulle azioni proprie

Infine, l’art. 6, paragrafo 1, lett. a), del Regolamento n. 2273/2003, impone che, nel corso del periodo di durata del programma di riacquisto di azioni proprie, l’emittente non effettui la vendita di azioni proprie. Tale previsione, facendo ricorso al termine “vendita”, dovrebbe essere interpretata nel senso che, nel corso del periodo di durata del programma di acquisto di azioni proprie, è fatto divieto all’emittente di effettuare un’attività di negoziazione sulle proprie azioni, ossia il trading su azioni proprie, e non il semplice scambio come nel caso dello share for share (7).

Si sottolinea che il paragrafo 3 dell’articolo in commento dispone che «il paragrafo 1 non si applica se … il programma di riacquisto di azioni proprie è coordinato da un’impresa di investimento o da un ente creditizio che adotta le decisioni in merito alla negoziazione delle azioni dell’emittente in piena indipendenza e senza essere influenzato dall’emittente perquanto riguarda il momento dell’acquisto». Pertanto, nel caso in cui la società emittente abbia affidato l’esecuzione del piano di acquisto di azioni proprie a una banca che agisce in modo indipendente, sebbene entro i termini e le condizioni posti dall’emittente, non troverebbe in ogni caso applicazione il suddetto divieto di vendita delle proprie azioni.

1.4 La disciplina informativa relativa agli acquisti di azioni proprie

Oltre agli specifici obblighi informativi previsti dalla delibera Consob n. 16839/2009, occorre sottolineare che il TUF e il Regolamento Emittenti (RE) presentano una serie di obblighi informativi che le società quotate devono rispettare nel procedere all’acquisto di azioni proprie (8). Tale disciplina informativa contenuta nel RE è costituita: i) dagli obblighi derivanti dal rispetto della parità di trattamento tra i soci e ii) dalle altre disposizioni previste nel RE per gli acquisti di azioni proprie.

Il principio della parità di trattamento è sancito dall’art. 132 del TUF, il quale prevede che «gli acquisti di azioni proprie, operati ai sensi degli artt. 2357 e 2357-bis, primo comma, n. 1), del codice civile, da società con azioni quotate, devono essere effettuati in modo da assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, secondo modalità stabilite dalla Consob con proprio regolamento».

La Consob, in attuazione delle disposizioni della succitata norma, ha disciplinato l’acquisto di azioni proprie nell’art. 144-bis del RE (9). Questa norma, oltre ad indicare le modalità con cui possono essere acquistate le azioni proprie, detta la disciplina informativa relativa a tali acquisti. In particolare, in capo all’emittente viene posto l’obbligo di comunicare al pubblico, prima dell’inizio delle operazioni finalizzate all’acquisto di azioni proprie, tutti i dettagli del programma di acquisto autorizzato dall’assemblea, «includendo almeno l’obiettivo del programma, il controvalore massimo, il quantitativo massimo di azioni da acquisire e la durata del periodo per il quale il programma ha ricevuto l’autorizzazione». Ogni successiva modifica al programma deve essere tempestivamente comunicata al pubblico.

Inoltre, post acquisto delle azioni proprie, il RE stabilisce che gli emittenti informano la Consob e il pubblico (secondo il modello contenuto nell’allegato 3F del RE) circa le operazioni di compravendita effettuate da essi direttamente o da società direttamente o indirettamente controllate o da soggetti appositamente incaricati e aventi ad oggetto azioni dell’emittente (10). La comunicazione contenente le operazioni effettuate in ciascun mese è trasmessa al pubblico entro i primi sette giorni lavorativi del mese successivo (11).

Si ritiene che la violazione delle citate disposizioni sia punibile, ai sensi dell’art. 193, comma 1, del TUF, che richiama l’art. 115 dello stesso Testo Unico, con la sanzione amministrativa, comminata all’emittente, da euro 5.000 a euro 500.000 (12).

Si ricorda, da ultimo, che l’art. 117-bis del RE estende gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti anche agli emittenti azioni quotate relativamente alle azioni proprie detenute direttamente ovvero tramite società controllate (13).

La violazione delle disposizioni in tema di partecipazioni rilevanti è punita con la sanzione amministrativa prevista dall’art. 193, comma 2, TUF, ossia:

(i) da euro 25.000 a euro 2.500.000 in caso di omesse comunicazioni;

(ii) da euro 5.000 a euro 500.000 in caso di ritardo delle comunicazioni non superiore a due mesi.

A norma dell’art. 193, comma 3, lett. a), del TUF, la sanzione pecuniaria nella misura prevista dal comma 2 del medesimo articolo (da euro 25.000 a euro 2.500.000) è applicabile ai componenti del collegio sindacale che commettono irregolarità nell’adempimento dei doveri di vigilanza e di comunicazione alla Consob delle irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza, previsti nell’art. 149 del TUF.

1.5 I “black out periods”

I c.d. black out periods non fanno parte degli obblighi introdotti dalla Direttiva sugli abusi di mercato. Tale espressione si riferisce ad intervalli temporali in cui i soggetti che hanno accesso alle informazioni privilegiate non possono effettuare acquisti o vendite dei titoli emessi dalla società quotata (per l’ovvia ragione di una presunzione di conoscenza di informazioni privilegiate).

Si evidenzia che l’istituzione di black out periods non è dettata da alcuna normativa comunitaria o nazionale ma, nel caso italiano, è prevista dal Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. In particolare, l’art. 2.2.3 del citato Regolamento dispone che per potere essere ricomprese nel segmento Star le società emittenti devono «aver vietato con efficacia cogente ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo, nonché ai soggetti che svolgono funzioni di direzione e ai dirigenti ai sensi del regolamento Consob n. 11971/99 (c.d. internal dealing) l’effettuazione – direttamente o per interposta persona – di operazioni di acquisto, vendita, sottoscrizione o scambio delle azioni o di strumenti finanziari ad esse collegate nei 15 giorni precedenti la riunione consiliare chiamata ad approvare i dati contabili di periodo. Non sono soggetti alle limitazioni gli atti di esercizio di eventuali stock options o di diritti di opzione relativi agli strumenti finanziari e, limitatamente alle azioni derivanti dai piani di stock options, le conseguenti operazioni di cessione purché effettuate contestualmente all’atto di esercizio. Le limitazioni non si applicano nel caso di situazioni eccezionali di necessità soggettiva, adeguatamente motivate dall’interessato nei confronti della società».

In base a quanto disposto dalla riportata statuizione del Regolamento di Borsa, l’emittente non sembra essere tra i “destinatari” del divieto in parola, essendo tale divieto chiaramente riferito alle persone sopra indicate per operazioni compiute nel loro personale interesse. Dal Regolamento di Borsa si evince, inoltre, che i black out periods si ricollegano unicamente ai periodi precedenti le riunioni consiliari di approvazione dei dati contabili, mentre non viene fatto alcun riferimento agli intervalli temporali che precedono le decisioni riguardanti operazioni straordinarie o altri eventi rilevanti per l’emittente.

L’analisi della prassi, di cui si riportano in nota alcuni esempi, avvalora tale conclusione, nel senso che le procedure di internal dealing analizzate non contengono divieti a compiere operazioni sulle azioni proprie da parte dello stesso emittente durante i black out periods (inoltre, nei predetti documenti non viene fatto alcun riferimento ai periodi che precedono l’approvazione e l’attuazione di operazioni straordinarie: pertanto, tali periodi non dovrebbero rientrare nei black out periods, fatta salva la possibilità del Consiglio di Amministrazione di estendere e applicare il divieto di acquisto di azioni dell’emittente ad altri periodi dell’anno) (14).

2. I profili fiscali dell’acquisto e vendita di azioni proprie

Preliminarmente, occorre ricordare che lo IAS 32, par. 33, prevede che «Qualora un’entità riacquisti gli strumenti rappresentativi del capitale conferito, quegli strumenti (“azioni proprie”) devono essere dedotti dal capitale. Nessun utile o perdita deve essere rilevato nel conto economico all’acquisto, vendita, emissione o cancellazione degli strumenti rappresentativi di capitale di un’entità. … Il corrispettivo pagato o ricevuto deve essere rilevato direttamente a patrimonio netto».

Tale impostazione contabile presuppone che l’acquisto di azioni proprie rappresenti una modalità di rimborso del capitale agli azionisti, mentre l’eventuale successiva rivendita viene equiparata ad una nuova emissione di titoli azionari. La suddetta qualificazione implica, pertanto, che:

(i) le azioni proprie oggetto di acquisto non siano rilevate nell’attivo di stato patrimoniale, ma siano iscritte in deduzione del patrimonio netto;

(ii) in caso di cessione delle azioni proprie, il patrimonio netto della società venga incrementato di un importo pari al corrispettivo conseguito.

2.1 Irrilevanza reddituale per l’emittente dell’acquisto e vendita di azioni proprie

Ai sensi dell’art. 83 del TUIR «Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali … valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione [gli artt. da 84 a 116 della sezione I, capo II, del TUIR, che recano le regole di determinazione della base imponibile delle società ed enti commerciali residenti, n.d.r.], i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili».

Pertanto, per le società quotate la determinazione del reddito imponibile avviene avendo riguardo ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione di bilancio enunciati negli IAS/IFRS, accentuando così la derivazione del reddito imponibile dalle risultanze del bilancio IAS. Ciò significa, per quanto qui di interesse, che nella determinazione del reddito imponibile dei soggetti IAS dovrà derogarsi all’art. 109 del TUIR qualora la qualificazione data dai principi contabili internazionali ad una determinata operazione preveda che l’iscrizione o la cancellazione del bene o del diritto tra le attività dell’entità dipenda dal verificarsi di condizioni differenti dal semplice passaggio della proprietà, o qualora la natura sostanziale dell’operazione diverga dalla sua qualificazione giuridica (15).

Da quanto sopra deriva che, nella determinazione del reddito imponibile dell’emittente, le operazioni di acquisto e vendita di azioni proprie non rappresentano eventi “realizzativi”, dovendosi ricondurre, nella sostanza, nell’ambito delle operazioni di conferimento o di restituzione degli apporti ai soci (16).

Il fatto che per la società emittente le operazioni sul capitale non diano origine ad eventi impositivi ma siano per essa fiscalmente neutrali trova esplicita conferma nell’art. 91, comma 1, lett. c) e d), del TUIR, secondo cui non concorrono alla formazione del reddito:

(i) «in caso di riduzione del capitale sociale mediante annullamento di azioni proprie, acquistate in attuazione della relativa deliberazione o precedentemente, la differenza positiva o negativa tra il costo delle azioni annullate e la corrispondente quota del patrimonio netto» (lett. c) (rimborso del capitale);

(ii) «i soprapprezzi di emissione delle azioni … versati dai sottoscrittori di nuove azioni» (lett. d) (conferimenti di capitale).

Più precisamente, la disposizione contenuta nella lett. c) dell’art. 91 disciplina l’ipotesi dell’annullamento delle azioni proprie in portafoglio – operazione che gli IAS/IFRS considerano contestuale all’acquisto delle azioni proprie – stabilendo che sia fiscalmente irrilevante la differenza tra il valore di carico delle azioni annullate e la corrispondente quota del patrimonio netto.

La successiva lett. d) dell’art. 91 riguarda invece i conferimenti di capitale – cui gli IAS/IFRS assimilano la vendita di azioni proprie – e statuisce l’irrilevanza fiscale dell’intero sovrapprezzo azioni. Ne consegue che dalla vendita di azioni proprie l’emittente non realizza plusvalenze o minusvalenze fiscalmente rilevanti, poiché le stesse costituiscono parte del sovrapprezzo delle azioni di “nuova” emissione.

In definitiva, la qualificazione IAS/IFRS fa sì che le azioni proprie diventino beni privi di rilevanza fiscale per il soggetto emittente, non assumendo più alcun rilievo, nella determinazione del suo reddito tassabile, la variazione di valore intercorsa tra il loro acquisto e la loro vendita. Nello stesso senso si esprime la Relazione di accompagnamento al D.M. 1° aprile 2009, n. 48, ove si legge che «Una ulteriore fattispecie in cui la qualificazione ai fini IAS produce effetti fiscali è quella dell’acquisto e rivendita di azioni proprie. Dal punto di vista contabile, secondo gli IAS, l’acquisto di azioni proprie è assimilabile, nella sostanza, ad una modalità alternativa mediante la quale viene eseguito il rimborso del capitale agli azionisti, mentre l’eventuale successiva rivendita è, per conseguenza, assimilata ad una nuova emissione di titoli azionari. L’operazione non ha alcun effetto sul conto economico ma solo sul patrimonio netto. In base al principio di derivazione, tenendo conto, in particolare, della qualificazione dell’operazione – che come visto – è assimilata alla estinzione ed emissione di azioni, ai fini fiscali l’acquisizione e la cessione di azioni proprie non danno luogo a fenomeni reddituali per il soggetto emittente e, di conseguenza, le azioni acquisite non sono cespiti aventi rilevanza fiscale, così come non rileva il differenziale tra il prezzo di rivendita ed il relativo costo di acquisto delle azioni proprie (rilevato a diretto incremento o riduzione del patrimonio netto a titolo di sovrapprezzo)» (17).

2.1 La natura fiscale delle riserve del patrimonio netto

Occorre premettere che nell’ambito del TUIR non sono rinvenibili norme che stabiliscono un ordine di priorità nell’utilizzo delle poste ideali del patrimonio netto a seconda della loro differente natura fiscale (i.e. riserve “di utili” o “di capitale”) essendo la società libera di scegliere se utilizzare le une o le altre (la sola eccezione riguarda l’ipotesi della loro distribuzione ai soci) (18). Pertanto, l’organo amministrativo al momento dell’acquisto delle azioni proprie potrà liberamente decidere quali riserve “cancellare” dal patrimonio netto, cioè se riserve aventi natura di utili oppure riserve di capitale.

La questione si presenta più complessa nell’ipotesi di vendita delle azioni proprie, ponendosi il problema della qualificazione fiscale del patrimonio netto di “nuova formazione”.

Al riguardo si osserva che ove si adottasse un’impostazione rigidamente ancorata alla ratio sottostante i principi contabili internazionali – che, come più volte ricordato, assimilano la vendita delle azioni proprie ad un aumento di capitale con emissione di nuove azioni – si dovrebbe giungere alla conclusione che il prezzo di vendita delle azioni, ad eccezione della parte rappresentativa del valore nominale delle stesse, sia da imputare ad una riserva sovrapprezzo azioni, e dunque si qualificherebbe come “riserva avente natura di capitale”.

Tale soluzione, tuttavia, non soddisfa del tutto. Infatti:

(i) l’art. 83 del TUIR ha una portata applicativa limitata alla determinazione del reddito imponibile del soggetto IAS, che nel caso di specie è la società emittente; pertanto, la norma in commento, e quindi la regola della prevalenza della qualificazione IAS, non dovrebbe disciplinare vicende estranee alla determinazione del reddito d’impresa della società quotata, come mi pare sia la qualificazione fiscale delle poste ideali del patrimonio netto (la cui natura riverbera più propriamente effetti sui soci, anziché sulla società);

(ii) considerato che con l’acquisto di azioni proprie non si procede giuridicamente all’annullamento del capitale sociale, e che la successiva rivendita parimenti non costituisce giuridicamente un aumento di capitale con emissione di nuove azioni, sembra preferibile (in quanto fiscalmente più prudenziale, dato che evita la “scomparsa” di riserve di utili) attribuire al patrimonio netto formatosi a seguito della vendita delle azioni proprie la stessa natura fiscale che avevano le preesistenti poste del netto “cancellate” al momento dell’acquisto delle azioni proprie (19).

Un’ulteriore questione, che è un’appendice di quella precedente, riguarda la qualificazione fiscale del patrimonio netto che si origina ex novo all’atto della vendita delle azioni proprie quando il prezzo di cessione risulta superiore al valore di carico delle stesse. In proposito, la relazione accompagnatoria al D.M. n. 48/2009 indica che tale differenziale deve essere «rilevato a diretto incremento … del patrimonio netto a titolo di sovrapprezzo»; tuttavia, la soluzione non convince. Infatti, posto che giuridicamente l’incremento di patrimonio netto non trae origine da un nuovo apporto dei soci ma dalla cessione di un bene (i.e. le azioni proprie) ad un prezzo più alto rispetto al relativo costo di acquisto, al suddetto differenziale, che rappresenta la plusvalenza realizzata, ancorché non tassata in capo all’emittente soggetto IAS, potrebbe riconoscersi, per le stesse ragioni sopra illustrate ai punti (i) e (ii), la natura di “riserva di utili”.

Dott. Silvia Locatelli

 

(1) Un’ulteriore conferma del fatto che l’acquisto di azioni proprie può rientrare tra le operazioni costituenti abusi di mercato è riscontrabile nella circ. Assonime 5 giugno 2009, n. 22. Nella suddetta circolare viene ribadito che «L’acquisto di azioni proprie presenta profili di criticità con riferimento, sia a possibili ipotesi di insider trading, sia di manipolazione: nel primo caso, per il possibile privilegio informativo di cui possa godere la società; nel secondo caso, per un’eventuale influenza sui prezzi di mercato a seguito degli acquisti» (pagina 17). Inoltre, si legge che «Nonostante le operazioni di acquisto di azioni proprie … possano avere molteplici e più ampi obiettivi di quelli previsti dal Reg. CE (ndr. Regolamento CE n. 2273/2003), quest’ultimo tutela, dal punto di vista della disciplina sugli abusi di mercato, soltanto quelli in esso previsti» (pagina 20).

(2) L’art. 180, comma 1, lett. c), del TUF, definisce le prassi di mercato ammesse come «prassi di cui è ragionevole attendersi l’esistenza in uno o più mercati finanziari e ammesse o individuate dalla CONSOB in conformità alle disposizioni di attuazione della direttiva 2003/6/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003».

(3) Cfr. paragrafo 5, “Le condizioni operative”, della delibera Consob n. 16839. Occorre tenere presente che le attività di negoziazione di azioni proprie che non rientrano nella deroga prevista dalla Direttiva n. 6/2003 e che non sono nemmeno identificabili propriamente come “prassi di mercato” non devono di per sé essere considerate come configuranti abusi di mercato: cfr. circ. Assonime n. 22/2009, cit. (pagina 17), la quale rimanda al 2° considerando del Reg. CE n. 2273/2003 («Le attività di negoziazione di azioni proprie nell’ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie e le operazioni di stabilizzazione di uno strumento finanziario che non beneficiano della deroga ai divieti di cui alla direttiva 2003/6/CE, ai sensi all’articolo 8 della stessa direttiva, non devono di per sé essere considerate come configuranti abusi di mercato») e al documento di consultazione della Consob del 13 maggio 2005 (paragrafo 38: «si rileva che le operazioni di stabilizzazione o di acquisto di azioni proprie che non beneficiano della citata deroga, in quanto i soggetti interessati ritengano di non rispettare i limiti e gli adempimenti previsti dalle misure di attuazione, non devono di per sé essere considerate come configuranti abusi di mercato e quindi, come tali, vietate; si tratta piuttosto di operazioni che potrebbero costituire oggetto di enforcement da parte dell’autorità di vigilanza»). Inoltre, nel documento di consultazione della Consob del 4 agosto 2008 (pagina 14) viene precisato che «non costituiscono necessariamente abusi di mercato le operazioni di acquisto di azioni proprie al di fuori della presente prassi, effettuate dall’emittente, direttamente o indirettamente, o dagli intermediari eventualmente incaricati».

(4) Ai sensi del successivo paragrafo 10 della stessa delibera, l’emittente che decide di destinare ad altre finalità le azioni acquistate nell’ambito della prassi deve, senza indugio, darne comunicazione al pubblico.

(5) Da intendersi come offerta in acquisto. In tal senso si veda il documento di consultazione Consob del 4 agosto 2008 relativo all’ammissione di prassi di mercato (pag. 6). In particolare, introducendo i limiti operativi circa la prassi relativa al sostegno della liquidità di mercato il documento fa riferimento ai limiti indicati nell’art. 5, paragrafo 1, del regolamento CE n. 2273/2003, e precisa che «I prezzi delle proposte di acquisto (vendita) non devono essere superiori (inferiori) al più alto (basso) tra il prezzo dell’ultima operazione indipendente e il prezzo corrente della proposta in acquisto (vendita) indipendente più elevata (bassa) presente nel mercato in cui la proposta viene inserita».

(6) Le modalità di acquisto di azioni proprie sul mercato sono disciplinate all’art. 2.6.7 del Regolamento di Borsa Italiana (che rimanda a quanto previsto all’art. 4.3.1 del medesimo Regolamento), ossia le modalità di asta e di negoziazione continua. In particolare, come specificato nell’art. 4.3.1 del medesimo Regolamento, le fasi di negoziazione sono: asta di apertura, negoziazione continua, asta di chiusura e negoziazione al prezzo di asta di chiusura.

(7) A supporto di tale interpretazione si sottolinea che il Regolamento in commento, anche nelle versioni in altre lingue, fa sempre ricorso a termini indicanti la vendita: “selling of own shares”, “la venta de acciones propias”, “Vender acções próprias”. Anche Assonime, nella citata circ. n. 22/2009, ha osservato (pagina 29, nota 87) che la ratio della restrizione prevista dall’art. 6, comma 1, lett. a), del Regolamento n. 2273/2003, anche sulla base dei lavori preparatori di tale regolamento, è proprio quella di vietare alla società il trading di azioni proprie.

(8) Circa la relazione illustrativa dell’organo amministrativo relativa all’assemblea convocata per deliberare sulla proposta di autorizzazione all’acquisto e/o all’alienazione di azioni proprie, vedasi l’art. 73 del RE e lo schema n. 4 dell’Allegato 3A del RE.

(9) Art. 144-bis del Regolamento Emittenti: «1. Gli acquisti di azioni proprie e della società controllante, disciplinati dall’articolo 132 del Testo unico, possono essere effettuati: a) per il tramite di offerta pubblica di acquisto o di scambio; b) sui mercati regolamentati secondo modalità operative stabilite nei regolamenti di organizzazione e gestione dei mercati stessi, che non consentano l’abbinamento diretto delle proposte di negoziazione in acquisto con predeterminate proposte di negoziazione in vendita; c) mediante acquisto e vendita di strumenti derivati negoziati nei mercati regolamentati …; d) mediante attribuzione ai soci, proporzionalmente alle azioni da questi possedute, di un’opzione di vendita da esercitare entro un periodo di tempo stabilito nella delibera dell’assemblea di autorizzazione del programma di acquisto. 2. La delibera dell’assemblea che autorizza l’acquisto di azioni proprie specifica quali delle modalità, previste al comma 1, possono essere utilizzate. 3. Prima dell’inizio delle operazioni finalizzate all’acquisto delle azioni, diverse da quelle indicate al comma 1, lettera a), tutti i dettagli del programma di acquisto autorizzato dall’assemblea devono essere comunicati al pubblico, includendo almeno l’obiettivo del programma, il controvalore massimo, il quantitativo massimo di azioni da acquisire e la durata del periodo per il quale il programma ha ricevuto l’autorizzazione. Modifiche successive al programma devono essere tempestivamente comunicate al pubblico».

(10) Cfr. artt. 87 e 87-bis del Regolamento Emittenti.

(11) Sempre l’allegato 3F del RE precisa che non devono essere comunicate le operazioni degli emittenti per importi che complessivamente non superano nel mese di riferimento la cifra di euro 100.000 e le operazioni effettuate tra le società direttamente o indirettamente controllate dall’emittente.

(12) Cfr. la più volte citata circ. Assonime n. 22/2009 (pagina 35). Si evidenzia che l’art. 195 del TUF, relativo alla procedura sanzionatoria, prevede al comma 9 che «Le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili».

(13) In pratica, considerando il limite del 20% posto dal codice civile, si può trattare delle soglie partecipative del 2%, 5% e 15%. Per completezza si riporta il testo dell’art. 117, comma 1, del Regolamento Emittenti: «Coloro che partecipano al capitale sociale di un emittente azioni quotate comunicano alla società partecipata e alla Consob: a) il superamento della soglia del 2%; b) il raggiungimento o il superamento delle soglie del 5%, 10%, 15%, 20%, 25%, 30%, 50%, 66,6%, 90% e 95%; c) la riduzione della partecipazione al di sotto delle soglie indicate alle lettere a) e b)».

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(14) Le caratteristiche dei black out periods, quali la durata e l’ambito di applicazione, vengono definite nelle procedure di internal dealing predisposte e adottate dalle società quotate e possono subire variazioni da società a società, nel rispetto dei dettami del Regolamento di Borsa Italiana. Ad esempio, il documento di “Internal dealing” di Pirelli & C S.p.a. allunga il black out period stabilendo che corrisponde ai «venti giorni precedenti la diffusione dei dati economico-finanziari di periodo, definitivi o di preconsuntivo». A loro volta i “Principi di autodisciplina di Telecom Italia” introducono il black out period «dal primo giorno successivo alla chiusura di ciascun periodo contabile fino alla diffusione dei relativi dati economico-finanziari, definitivi o di preconsuntivo» e lasciano, inoltre, la possibilità al consiglio di amministrazione di determinare ulteriori periodi durante i quali rendere operante il divieto di acquisto di azioni dell’emittente. Il “Codice di Internal Dealing” di Finmeccanica S.p.a. vieta agli amministratori esecutivi, al direttore generale e alle persone a questi legate di compiere operazioni sulle azioni della società «a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di chiusura di ciascun periodo contabile (31 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 31 dicembre) fino a tutto il giorno successivo alla data di diffusione del comunicato stampa che annuncia i risultati conseguiti nel periodo di riferimento». Anche il Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica ha la facoltà di prevedere deroghe a tale divieto, nonché di estenderlo ad altri periodi dell’anno.

(15) Si pensi, ad esempio, alle regole di derecognition previste dagli IAS/IFRS, che impongono alla società di mantenere in bilancio un bene o un diritto quando con la cessione l’entità non ha trasferito tutti i rischi e i benefici ad esso relativi. È questa, ad esempio, l’ipotesi della cessione di un cespite in relazione al quale il soggetto cedente detenga un’opzione di riacquisto a prezzo conveniente, oppure l’ipotesi della cessione di crediti in cui il soggetto cedente continua a soggiacere al rischio di insolvenza del debitore. In tali casi la cessione del bene non costituirà un’operazione di realizzo e i cespiti saranno considerati, anche ai fini fiscali, ancora nel “possesso” della società cedente (con conseguenti effetti sulla deducibilità delle quote di ammortamento dei beni e della svalutazione dei crediti). Cfr., al riguardo, circ. Assonime 22 settembre 2008, n. 53, pag. 82 e ss. Si ricorda che l’art. 83 del TUIR non si estende alle controparti negoziali del soggetto IAS, nel senso che ciascuna entità che interviene nel medesimo rapporto contrattuale determina il reddito imponibile in base al proprio assetto contabile (ciò implica, ad esempio, che nell’ipotesi in cui un soggetto non IAS ceda un bene ad un soggetto IAS riconoscendogli un’ampia dilazione di pagamento, per il cedente il valore di realizzo del bene corrisponderà a quello contrattualmente pattuito, mentre per il cessionario IAS il costo fiscale sarà al netto della componente finanziaria implicita che verrà imputata al conto economico sotto forma di interessi passivi, deducibili secondo le regole dell’art. 96 del TUIR). Vedasi, a quest’ultimo riguardo, l’art. 3, comma 2, del D.M. 1° aprile 2009, n. 48.

(16) Vedasi anche l’art. 3, comma 3, lett. a), del D.M. n. 48/2009, a norma del quale «Fermi restando i criteri di imputazione temporale previsti dagli IAS eventualmente applicati, il regime fiscale è individuato sulla base della natura giuridica delle operazioni nei seguenti casi: a) quando oggetto delle operazioni di cui sopra siano i titoli di cui all’art. 85, comma 1, lett. c) e d) del testo unico, anche costituenti immobilizzazioni finanziarie, con esclusione delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del patrimonio proprio».

(17) Vedasi anche la circ. 28 febbraio 2011, n. 7/E (in Boll. Trib., 2011, 358): «l’acquisto di azioni proprie, nel nuovo assetto contabile IAS compliant, rappresenta, nella sostanza, una modalità alternativa mediante la quale viene eseguito il rimborso del capitale agli azionisti, mentre l’eventuale successiva rivendita è, per conseguenza, assimilata ad una nuova emissione di titoli azionari. Pertanto, nel sistema di derivazione rafforzata, le operazioni in esame si manifestano unicamente come ‘fenomeni patrimoniali’, in quanto si è in presenza, rispettivamente, di riduzioni ed aumenti di patrimonio netto, senza che le eventuali differenze tra costo d’acquisto e corrispettivo di cessione incidano sulla determinazione del risultato economico dell’esercizio e, conseguentemente, del reddito fiscale».

(18) In caso di distribuzione di riserve ai soci opera, infatti, la presunzione di cui all’art. 47, comma 1, del TUIR, che recita: «Indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti l’utile dell’esercizio e le riserve diverse da quelle del comma 5 [riserve diverse daquelle aventi natura capitale, n.d.r.] per la quota di esse non accantonata in sospensione di imposta”. Analoga, anche se caratterizzata da una ratio diversa, è la presunzione di cui all’art. 47, comma 6, che opera in caso di riduzione del capitale sociale previamente aumentato con riserve di utili.

(19) Va da sé che qualora il prezzo di vendita delle azioni proprie fosse inferiore al valore di carico delle stesse (i.e. vendita “minusvalente”), il differenziale negativo potrà imputarsi discrezionalmente a una delle riserve precedentemente “cancellate”, al pari di quanto accade in un effettivo annullamento di azioni proprie.